DIRETTAMENTE DALL'INDIA...

Tre mesi su un altro pianeta... Oppressa dal caldo e "attaccata" dalle zanzare... Carica di curiosita'... Pronta a scoprire una cultura totalmente diversa dalla mia...

Thursday, August 9, 2007

GOODBYE DELHI... Arrivederci India...

Sono tornata in Italia... Ed ecco qui l’ultimo post per concludere il mio blog indiano e tutti i miei racconti su questo contraddittorio e affascinante Paese e sulla mia esperienza lì. Vi lascio alle parole di William Dalrymple. Sto leggendo un suo libro in questi giorni: “City of Djinns. A year in Delhi” (in italiano è soltanto tradotto con “Delhi”… Per una volta siamo noi i succinti e gli inglesi i logorroici… Hihi…)
Bel libro. Parla di tutti i posti che ho visto ed in cui ho vissuto… Leggendolo alla fine della mia permanenza lì mi ha fatto capire come noi occidentali notiamo più o meno tutti le stesse cose, ma sono proprio le stesse cose che vengono lette da occhi diversi nelle maniere più diverse…

In questa frase è riassunta l’essenza di questa città, Delhi, dove ho vissuto ben tre mesi. Le parole di Dalrymple potrebbero proprio essere state pronunciate dalla sottoscritta… Eccole qui: «…From the very beginning I was mesmerized by the great capital, so totally unlike anything I had ever seen before. Delhi, it seemed at first, was full of riches and horrors: it was a labyrinth, a city of palaces, an open gutter, filtered light through a filigree lattice, a landscape of domes, an anarchy, a press of people, a choke of fumes, a whiff of spices…»

Per chi volesse dare un'occhiata alle mie foto di Delhi, finalmente sono online... Il computer dell'Ambasciata era così lento che caricarle mi costava tanta fatica e duro lavoro... Ecco qui: http://picasaweb.google.com/la.martissima/DelhiIndia

Monday, July 23, 2007

IL MIO LAVORO DA INTERPRETE… Due giorni un po’ diversi dal solito…

Circa dieci giorni fa bussa alla mia porta la padrona di casa, dicendomi che c’era una specie di emergenza da risolvere e che io ero l’unica persona che poteva farlo… Il marito di una sua carissima amica doveva incontrare per lavoro due italiani. Questi due arrivavano a Delhi nel giro di pochissimi giorni e ovviamente non spiccicavano una parola di inglese…
Questo significava che serviva un interprete. Una persona che potesse metterli in comunicazione e tradurre tutto quello che loro si dicevano. “Vuoi farlo?” – mi chiede la padrona di casa. Dopo averci pensato su un po’ e dopo aver chiesto al mio supervisore se potevo prendermi due giorni di ferie (e, ovviamente, aver ottenuto risposta affermativa), accetto.
I motivi sono molteplici:
1. fare qualcosa di un po’ diverso dallo stare 8 ore davanti al computer;
2. mettere alla prova il mio inglese e le mie capacità di dividere il cervello a metà … (ed usare, ovviamente, le due metà correttamente ed al momento giusto);
3. (“last but not least” – come direbbero gli inglesi) guadagnare un po’ di soldini, cosa che non guasta mai, soprattutto se si sta facendo uno stage di tre mesi non pagato in un Paese straniero anche se questo è l’India che, pur essendo super-economica, riguardo certe cose costa… Considerando, oltretutto, che gli interpreti non sono pagati male, neppure in India…
Accetto. Si tratta di un lavoro di due interi giorni, dalla mattina alla sera, pasti compresi. Le parti da mettere in comunicazione sono un produttore di vestiti (soprattutto in pelle) indiano e il suo compratore italiano, una ditta che fa soprattutto modelli per gli stilisti (anche nomi importanti, devo essere sincera…). I miei datori di lavoro sono gli indiani; gli italiani sono i loro ospiti.
Mi viene a prendere il signore indiano la mattina presto. Andiamo subito all’hotel a prendere gli italiani: toscani 100%, con accento “poco” pronunciato… Simpatici, ma italianissimi (nel bene e nel male). Andiamo subito alla fabbrica principale, dove c’è l’ufficio dell’indiano. Fabbrica decisamente indiana, ma non troppo diversa da quello che potrebbe essere una simile fabbrica in Italia. Unica differenza rilevante: due donne in totale. Sono tutti uomini, per lo più giovani (avranno la mia età o poco più)… Uomini alle macchine da cucire, uomini-sarti, uomini al taglio delle pelli, uomini all’imballaggio dei capi, uomini dappertutto… Come sempre, del resto, in questo Paese…
Trascorriamo la mattinata dando indicazioni su come fare il lavoro, accordandoci su varie produzioni e varie cose da far fare alla fabbrica in questi due giorni ed in futuro, e poi andiamo a pranzo… Imparo nel frattempo tutta una serie di termini tecnici, che non utilizzerò mai più… (credo). “Imbottitura”, “fodera”, “frisellina” (quando dovevo tradurre questo, giuro che mi sono messa a ridere…), e vari altri.
Andiamo a pranzo nel ristorante di un albergo di lusso. Sì, perché in questo Paese è così: se si vuole andare nei ristoranti chic, quelli super-eleganti, si va negli hotel 5 stelle (potete immaginarvi cosa ci faccio io in un hotel 5 stelle…) e poi andiamo a visitare le altre due fabbriche della stessa ditta: quelle che fanno solo ricami.
E qui la mia vera e propria esperienza… Quartiere povero, degradato e sporco della città. Palazzo decadente. Bagni pubblici proprio accanto all’ingresso del palazzo. Sì, perché in India ci sono un sacco di bagni pubblici. (Si tratta di bagni aperti, cosa credete!) Sostanzialmente un muro con delle piccole divisorie, e con dei buchi vicino alla parete, per fare andare i bisogni direttamente nelle fognature, o qualcosa del genere… Purtroppo non ho mai guardato troppo attentamente, dato che la cosa non è molto gradevole… ed il puzzo è talmente forte che molto spesso la mia mano finisce davanti alla faccia per tappare il naso! Sono ovunque, anche nei quartieri più moderni e puliti. Sono accanto alla strada, mica nei posti appartati! Credo siano stati “brevettati” per ridurre il numero di gente che piscia in mezzo alla strada, senza però ottenere grossi risultati, devo essere sincera (uomini in piedi, girati di schiena, in mezzo alla strada, se ne vedono ovunque)…
Entriamo dentro. Saliamo le scale. Sporchissime. Senza ringhiera. Arriviamo al secondo piano. Una serie di stanzette senza finestre, senza aria condizionata né ventilatori, con la sola luce artificiale ed una serie di indiani seduti per terra a ricamare. Nessuno strumento particolare di lavoro. Solo manodopera, niente tecnica. Tutti uomini. Ragazzi che hanno sicuro meno di 25 anni (ma anche più di 14, per fortuna). Chiedo alcune informazioni sulle norme e sembra che sia tutto in regola. Sono nei limiti del numero massimo di persone da poter mettere all’interno di una stanza. Il caldo è opprimente. Appena usciti, dobbiamo lavarci la faccia perché abbiamo sudato come maiali. I ragazzi dentro al lavoro erano infatti tutti quanti senza maglietta. Se l’erano messa addosso appena siamo arrivati noi. Li vediamo al lavoro per un po’ e poi scappiamo via.
Anche l’altra fabbrica è molto simile. Torniamo agli uffici. Poi andiamo a cena ad uno dei ristoranti più cari di Delhi. “Per tirarci su il morale” – penso io. Mangiamo benissimo. Io però rimango un po’ a pensare alla pelle scura tutta sudata dei poveretti, che vivono con uno stipendio di circa 80 euro al mese (a quanto ci è stato detto… spero sia la verità…).
L’indomani lavoro simile. Niente di speciale da raccontare dunque. Esperienza utile. Per il mio inglese, per rendermi conto di quello che sono capace di fare, per me…Dopo aver scritto la mia tesina di laurea triennale sulla manodopera minorile impiegata in India nella produzione dei tappeti non credo che avrei potuto sperare qualcosa di meglio che andare a vedere una serie di indiani ricamare le pelli…

MUSICA E DANZE INDIANE… Mesmerizing…


Alcuni di voi già sanno quanto mi piaccia il termine inglese “mesmerizing”… E come mi piacerebbe utilizzarlo in una serie infinita di circostanze… Oggi lo utilizzo in tutta tranquillità perché… ebbene sì, l’arte di qui ha davvero un grande potere ipnotico su di me… Direi proprio che mi cattura, mi incanta e mi affascina. Potrei stare lì ore ad ascoltare un concerto di musica classica indiana, oppure ad osservare delle danze tradizionali indiane… Davvero ore ed ore…
Non ci sono molte altre cose in questo Paese che provocano un tale effetto su di me.
Sì, è vero, decisamente tutto mi incuriosisce… e ci sono cose che mi affascinano molto… Ma l’arte... ah, l’arte!

La musica. Pochi strumenti: tabla, sitar, veena,… Strumenti di legno, decorati a mano, che emettono melodie molto semplici, ma dai timbri per me così nuovi… I musicisti si siedono per terra, abbigliati nei loro vestiti tradizionali: una lunga curta per gli uomini e dei bei sari colorati per le donne… Tutti pieni di gioielli e con i loro bei pallini rossi o neri sulla fronte…
Già il fatto che si siedono per terra dà l’idea di una cosa semplice, più familiare e più condivisa con il pubblico. I movimenti, al solito (come tutto qui) sono lenti e rilassati… Non ci sono grossi cambiamenti di tonalità o di melodia, ma le musiche sono varie e pezzi più lenti si interscambiano con brani ben più movimentati… Suoni acuti e suoni gravi convivono… Voci un po’ roche, a volte gravi, a volte acutissime, cantano. Sembrano più che altro delle dolci urla, che rispettano gli stessi tempi degli strumenti… Ovviamente non capisco le parole, ma ho questa strana impressione che comunque non dicano un granché… Chissà. Ogni tanto capto qualcosa, ma molto poco.
Rimango ipnotizzata ad ascoltare. Posso chiudere gli occhi ed immaginare le storie di alcuni di questi canti, oppure vedere i begli indianini abbigliati a festa che cantano canzoni di gioia in onore della loro divinità… Stupendo.

La danza. Ci eravamo andate una volta, a Torino… Marta, Katia ed io… Eravamo andate a vedere uno spettacolo di danze indiane. Interessante, ma un po’ spaventoso… Il volto truccatissimo della ballerina, che mostrava le sue faccette più buffe e strane possibili, ci aveva lasciate un po’ scettiche… O, per lo meno, aveva lasciato ME un po’ scettica. Abiti coloratissimi e tanti sonagli. Bracciali, collane ed una parrucca pesantissima… Una bella ragazza, con chili e chili di trucco sul volto… Quasi una bambola. Marta aveva detto che sembrava un clown… Verissimo. Il risultato era stato interessante, ma non poi così meraviglioso…
Ora, senza nulla togliere alla bella ballerina italiana che si era sforzata di fare un intero spettacolo di danze indiane, il paragone, dopo che ho visto quelle originali, proprio non sussiste! Le ballerine indiane sono tutta un’altra cosa.
Qui con le danze si raccontano delle vere e proprie storie… È un’arte stupenda. Le faccette non sono buffe o spaventose: sono chiare, esplicite, e divertenti… La musica è semplice e serve solo ad accompagnare la ballerina che si esibisce. Sono solo tamburi. Una voce racconta quello che sta succedendo. La ballerina rappresenta coi gesti ciò che la voce racconta. Ai piedi, dei sonagli rumorosi. Al collo, decine di collane. Chili e chili di parrucca e cappello sulla testa. Braccia e gambe spuntano appena appena da quell’ammasso di vestiti che circonda il corpo minuto della ballerina. Anche in questo caso, potrei ascoltare ed osservare tutte le storie di tutti gli dei d’India ed avere ancora voglia di stare lì…

Sunday, July 15, 2007

TANTISSIMI AUGURI ELI & FRA!!! Sono così felice per voi... E che peccato non esserci stata...

Eli... Fra... Oggi il mio post è interamente dedicato a voi due ragazzi...
Che emozione, ogni volta che penso che ieri vi SIETE SPOSATI!!!!
Elisa... sicuramente dev'essere stata bellissima... E tutti e due, senza dubbio felici da morire!!! Mi è dispiaciuto davvero tanto non esserci stata... Davvero tanto. E voi sapete quanto. Ve l'ho detto più volte...
D'altronde, come avete anche voi detto a me, questa esperienza indiana è altrettanto indimenticabile e non potevo certo farmela scappare...
Ho pensato a voi tutto il giorno ieri, provato a chiamarvi, ma non ci sono riuscita...
Aspetto con ansia di vedere le foto, ora. Voglio vedere voi, com'eravate, cosa hanno combinato i ragazzi coi loro scherzi (di cui già ho alcune anticipazioni...), tutto tutto tutto...
Fate buon viaggio, ora. E godetevi questo grande momento di gioia.
TANTISSIMI AUGURI SPOSINI NOVELLI!!!!
Vi voglio bene.

Friday, July 13, 2007

AN INTERNATIONAL COMMUNITY… Gli amici di Delhi…


Prima di partire mi ero immaginata i miei tre mesi qui parlando inglese con gli indiani e italiano con gli italiani… E basta. Mi ero immaginata di fare soprattutto amicizie italiane: tra i giovani stagisti dell’Ambasciata e qualche persona giovane in giro per i vari uffici limitrofi… più, sì, magari, un paio di conoscenze in qualche Ambasciata straniera vicina… E basta.
La realtà, arrivata a Delhi, invece è stata ben diversa. Stagista in Ambasciata sono l’unica. Ci sono un paio di ragazzi giovani e un paio di stagisti alla Camera di Commercio (per fortuna, qualche italiano al di sotto o intorno ai 30 anni…) Con loro pranzo tutti i giorni. Ed esco qualche volta la sera. E sono loro (alcuni di loro) che mi hanno introdotto alla comunità internazionale di Delhi…
Mah! “Internazionale”… Direi quasi comunità spagnola, in realtà… Qualche indiano, un mucchio di spagnoli (spuntano da tutte le parti e sembrano non finire mai… lo giuro! Sono davvero troppi!) e poi americani, scozzesi, brasiliani, irlandesi, francesi, qualche tedesco, ma in numero notevolmente ristretto… Ovviamente, gli italiani, che numericamente sono secondi soltanto agli iberici…
Ed è così che sono arrivata in India (non pensando assolutamente che mi sarebbe stato possibile spiccicare una sola parola in spagnolo in tutto il continente asiatico…) E mi ritrovo ad eventi tipo la festa di San Juan o la festa di San Fermin… Quest’ultima, appunto, celebrata soprattutto a Pamplona, con la famosa corsa dei tori e festeggiamenti per all’incirca 9 giorni, se ho capito bene…
Voi sapete come sono fatti gli spagnoli, no? Non possono fare a meno di far festa tutte le sere… Escono spesso, si ritrovano a casa dell’uno o dell’altro a fare cene e cose simili, invitano tutti a casa propria… Laurita sicuro lo sa, ed è a lei che dedico il mio post di oggi… A lei ed a Eleonora, che presto sarà in Spagna a vivere sulla sua pelle l’atmosfera…
Comunque, gli spagnoli hanno le pile Duracell extra-strong, questo è risaputo… Possono fare festa fino al mattino e poi uscire per andare in piscina senza aver fatto un’ora di sonno… Possono ballare ore e ore senza stancarsi… E decisamente riescono a ravvivare qualsiasi tipo di festa. Nessun altro di nessun altra nazionalità riesce a stare loro dietro, né ci prova, in realtà!!

Il post di oggi… interamente riguardante i ragazzi che ho conosciuto qui.
Mi ero resa conto che avevo pubblicato solo una foto con delle persone… Oggi ho voluto recuperare facendo un bel mix di due feste. Alla seconda (San Fermin, appunto…) eravamo tutti vestiti in bianco, con dei bei fazzoletti rossi al collo che la padrona di casa senonché festeggiata (era il suo compleanno) ha fornito a tutti gli invitati… Bianco/rosso: divisa caratteristica della festa…
Carini, no?

Tuesday, July 10, 2007

FARE ACQUISTI IN INDIA... Possibile che per comprare qualsiasi cosa devo mettermi a contrattare sul prezzo?

Ebbene sì... In questo Paese non esistono i prezzi fissi… L’altro giorno l’ultima novità: neppure nei negozi di elettronica. Un ragazzo mi racconta di aver contrattato sul prezzo di un hard disk e di alcuni DVD… Possibile??? Certo, per la nostra mente "tipicamente" occidentale, no... Non è possibile...
Eppure qui è così per tutto: la frutta e la verdura (va bene...), l’abbigliamento (?), i cellulari, la musica (???), qualsiasi tipo di riparazione di aggeggi elettronici,... tutto.
Già. Questa è l’India.
È divertentissimo farsi un giro a Paharganj o a Sarojini Market, due mercati molto frequentati e super-affollati, anche da noi occidentali (il primo è il tipico mercato dei frickettoni... Il secondo invece vende marchi occidentali a prezzi stracciati...) I prezzi non sono scritti da nessuna parte. Ovviamente. Il venditore indiano vede la tua pelle chiara e spara altissimo... Ed ecco che inizia la “battaglia”: loro sparano 100 rupie e tu con tutta tranquillità ribatti 40, per arrivare al prezzo di 60, se sei bravo. A me viene sempre da ridere... Eppure è così che funziona. Quando accettano con troppa facilità vuol dire che avresti potuto scendere un altro po'... Non hai fatto un grande affare! Se invece sono molto “agguerriti” vuol dire che sono dei buoni venditori... Sicuro l'affare loro alla fine lo fanno comunque...
C’è chi dice che bisogna sempre aspirare alla metà del prezzo che ti chiedono all’inizio. In alcuni casi è facile, altre volte è veramente dura... L’importante è sembrare convinti di conoscere il prezzo e decidere di non muoversi di lì fino a che non ti chiedono proprio la cifra che vuoi tu! Oppure fare la finta di andare via, e allora loro ti inseguono e ti dicono: “Madame, madame, wait!” E accettano il compromesso...
È divertentissimo, ma davvero faticoso, perché bisogna sempre stare lì a litigare. E si litiga anche per 5 Rupie (l'equivalente di meno di 10 centesimi...)
A volte pero' avrei una gran voglia di leggere un cartellino o un’etichetta col prezzo... Ma niente da fare! Che fatica!
Ed è così, ovviamente, anche col risciò... Il tassametro me l’avranno acceso tre volte in tutti i viaggi che ho fatto... Quindi appena salita su, mi tocca concordare il prezzo. Anzi, prima di salire... Altrimenti hai perso in partenza. E lì è un’altra guerra. Se il prezzo non ti va bene, ecco che fermi un altro risciò e chiedi al nuovo autista che prezzo ti fa... E avanti avanti fino a che non trionfi... Prima o poi uno onesto lo si trova!!! Mi è capitato anche che da 100 rupie scendessero a 40, per esempio... O cose simili. Appena si accorgono che abiti a Delhi e non sei una turista, moderano un po’ i termini perché capiscono che hai una vaga idea dei prezzi. E a volte scendono fino a prezzi giusti. L’unico problema è quando tu non conosci le distanze, perche' allora ti sparano altissimo, tu ci credi, e alla fine ti accorgi che hai fatto solo due passi!!!
Ma fa tutto (anche questo) parte del gioco!!!

Sunday, June 17, 2007

ELETTRICITÀ… Perché a casa mia salta sempre la corrente…



Il Monsone sta arrivando… Stamattina mi sono svegliata con il rumore della pioggia contro la mia finestra… Acquazzone di un’oretta o due, seguito da pioggerella fitta fitta e poi di nuovo sole… Oltre al rumore della pioggia, mi sveglia anche il fatto che il mio ventilatore si è improvvisamente fermato… No! E neppure l’aria condizionata funziona… Uff! È saltata di nuovo la corrente! Chissà per quanto, ora, dovrò sciogliermi al caldo… Speriamo poco… A volte si tratta di pochi minuti, a volte si tratta di alcune ore… Fatto sta che nella mia stanza rimane accesa solo una luce di emergenza, mentre tutto il resto muore: il frigorifero, il condizionatore, la TV… Non si fa nulla e si aspetta… (però per lo meno c’è la luce di emergenza: grande invenzione!)
Anche in Ambasciata la luce salta spessissimo. E io impreco tutte le volte, perché mi si spegne il computer… Mannaggia! Qui in India ho preso l’abitudine di salvare il mio documento di testo dopo ogni frase che scrivo (per evitare di perdere quello che non ho salvato). Ma in Ambasciata di solito la corrente salta solo per pochi secondi: giusto quell’attimo che ti costringe a riavviare il PC! Ma almeno non si rischia di morire di caldo: l’aria condizionata va…
Quello della corrente è un problema comune in questo Paese. In tutte le guide sull’India si legge qualcosa a riguardo. Anche la mia adorata Lonely Planet ne parla, e l’idea che ne risulta è: aspettati che qualcosa non vada con l’elettricità… Alle mie amiche sono già capitate le cose più assurde: c’è chi si è ritrovata con il condizionatore totalmente bruciato, chi con l’aspirapolvere fuori uso… Io ogni giorno prego per il mio “cicci” (il mio portatile), affinché sopravviva!

Ma perché mai questa corrente salterà così frequentemente? Date un’occhiata alle fotografie di oggi e capirete!

Wednesday, June 13, 2007


10 giugno 2007
Terzo giorno al Corbett Park: oggi c'è in programma il giro sulla camionetta da 16 posti (che potete vedere nelle foto: definita da Sasha un camion per deportati... La solita negativa...) Non era così terribile, a parte i continui sballottamenti di qua e di là di questo aggeggio di ferraglia vecchia ed ECCESSIVAMENTE rumoroso (quale tigre poteva avvicinarsi, dai...?)
Si parte alle 6 del mattino e il giro sarà di 6 ore e mezza... Si raggiungerà la parte centrale del Parco, si passerà attraverso stradine sconnesse e ciottolose e si incontreranno gli stessi animali di ieri (ovviamente, in numero maggiore)...
La solita famiglia numerosissima di indiani davanti a noi nel pullmino, e una coppia di nordici (uno svedese e una norvegese: lui faceva davvero morire dal ridere... certe battute... mi faceva piegare!): gli unici occidentali che abbiamo incontrato in questi tre giorni. Un'Odissea di 6 ore, con un male al sedere che non vi dico e qualche livido su braccia e gambe, ma attraverso posti davvero stupendi!!!
Non potete immaginare, se non li avete visti! Come ieri, rimango colpita dal fatto che la vegetazione è super-varia! C'è davvero di tutto! I cerbiatti e le scimmie ci attraversano la strada e rendono ancora più pittoresca la nostra avventura...
Non fa caldo (ci giunge voce che oggi a Delhi si sono quasi raggiunti i 50°... Oh, my God!) Invece qui il sole è tollerabile. Alle 6 fa quasi frescolino. C'è un po' di arietta e si respira. Alle 12 il caldo inizia a sentirsi, ma niente a confronto di quello che c'è in città...
Ci rilassiamo così tanto che quasi rischiamo di addormentarci... Impossibile, però, data la strada e il mezzo di trasporto...

Nella foto, oltre al pullmino e al panorama, degli elefanti che si fanno il bagno... Erano una quindicina. Sarei stata delle ore a guardarli! E poi, le impronte della tigre (a dimostrazione che esiste, anche se io non l'ho vista coi miei occhi!)
Finito il giretto torniamo a casa: il caldo a Delhi è veramente insopportabile... Le massime per tutto il week-end sopra i 45°... Aiuto!! Sopravviveremo... E intanto abbiamo trascorso un fine settimana davvero speciale.

Tuesday, June 12, 2007


9 giugno 2007
Sveglia presto, ma non troppo. Al telefono ci avevano detto di presentarci al Reception Office del Parco (appena fuori l’ingresso) alle 8 in punto, e noi arriviamo pure qualche minuto prima… Andiamo subito a chiedere informazioni e quelle che otteniamo sono contraddittorie. E per di più, c’è una fila lunghissima di “10(mila) piccoli indiani”… Compiliamo il modulo per l’alloggio in una Forest Rest House all’interno del Parco e aspettiamo risposta: non c’è posto (e dire che a noi stranieri normalmente danno pure la precedenza, perché paghiamo di più... Qui in questo Paese ci sono infatti due tariffe differenti per indiani e per stranieri, e normalmente sono davvero moooolto differenti… minimo il doppio in più, a volte più di dieci volte in più… come dice Manoj, noi occidentali qui siamo un po’ degli oggetti… tipo dei salvadanai pieni di soldi, da rompere ed esaurire)… Capiamo dunque il senso della fila. Anche se non capiamo perché al telefono ci avevano raccontato tutt’altro… Ci raccontano alcuni ragazzi che erano arrivati alle 4 del mattino per riuscire ad avere un alloggio per la notte all’interno del bosco... Mamma... Le 4! Siamo matti!
Decidiamo allora di prendere un biglietto d’ingresso per il Parco e di noleggiare una jeep per fare un safari di 3-4 ore… Problema: si prenota alle 8 e l’ingresso al Parco è alle 15.30… (tutto questo largo anticipo perché poi c’è l’orario di chiusura da tenere in considerazione… Quanti parchi al Mondo chiudono da mezzogiorno alle tre? Solo in India sono possibili certe cose!!! Certo che a volte sono proprio strani 'sti indiani…) Verso le 11 otteniamo il pezzo di carta/ricevuta e abbiamo ancora parecchio tempo da perdere. Andiamo dunque a cercare un altro alloggio nella stessa città, sempre lì, vicino al Reception Office, dato che avevamo prenotato per una sola notte, pensando di dormire poi all’interno del Parco la seconda. Troviamo un albergo con due stanze libere proprio lì accanto, e ci sistemiamo. Pranziamo e all’una siamo di nuovo nello stesso ufficio a chiedere il biglietto per l’indomani mattina… Perché ovviamente in mattinata tale biglietto non poteva ASSOLUTAMENTE essere fatto! La logica indiana è molto spesso dura da capire… Io ancora mi ci sforzo ma non sempre ce la faccio!!! Per l’indomani prenotiamo un giro di 6 ore su una camionetta aperta da 16 posti: unico modo per arrivare nella zona centrale del Parco. Altro modo non esiste!
Passiamo dunque un’intera mattinata a fare dei biglietti... tra il resto, non vogliono neppure farmi una ricevuta... e lì, allora, mi altero... Tutto l’ufficio ci conosce per nome e cognome e ci saluta allegramente: stiamo pagando loro lo stipendio, del resto!!! Seppure distrutti per una mattinata di attesa, siamo comunque abbastanza soddisfatti perché siamo riusciti a definire tutto... Manca solo l’elephant-riding: per quello ci si può accordare solo all’interno del Parco e dipende dalla disponibilità di elefanti.
Alle 15 siamo sulla jeep (quella della foto di ieri). Ed entriamo nel Parco. Dovete sapere che le jeep sono necessarie, perché nel Parco non si può camminare a piedi (si rischia di essere sbranati dalle tigri o cacciati dai leopardi...) e dunque servono delle auto aperte per permetterti di avere una visione d’insieme e di avvistare tutto “l’essere animato” che ti circonda...
La visione che ho è meravigliosa! La vegetazione varia notevolmente: si passa dalla foresta alla savana, da un sottobosco fittissimo a vegetazione secca e rada, da alberi altissimi a piccoli arbusti... Tutto vicinissimo... Qualche rigagnolo d’acqua, che in inverno sono veri e propri fiumi... Un sacco di uccelli, che i miei amici naturalisti saprebbero sicuramente riconoscere! (Io purtroppo no...) E degli animali... Scimmie, ovviamente (di tue tipi diversi: alcune proprio stupidine, dormono sugli alberi, poi arriva il leopardo, fa qualche ruggito, loro cadono dallo spavento e lui le divora... le altre un po’ meno stupide, ma meno belline e con gli occhi rossi...), tutta una serie di cervi di vario tipo (“spotted deer”, quello maculato; “samba deer”, quello con le orecchie grandi tonde, che sembra un topo; un altro tipo che assomiglia un po’ all’antilope... tutti stupendi!), cinghiali grigi bruttini; pavoni; elefanti allo stato brado, che si fanno il bagno nell’acqua; nessuna tigre (ma parecchie impronte...) Ed ero in mezzo alla natura: aria finalmente respirabile, sole caldo ma sopportabile, silenzio e pace dei sensi!
Dopo un paio d’ore di jeep, arriviamo alla sosta-elefanti. Ovvero, vediamo se ci sono un paio di elefanti per noi, per fare l’elephant-safari... Ebbene sì, ci sono. Saliamo in tre su un’elefantessa quarantenne dal nome bellissimo (Asha, che in hindi vuol dire “speranza”) e gli altri due salgono su un fanciulletto piccolino di 15 anni, il figlio di Asha. Dopo i primi problemi iniziali (“Oddio cado!”, “E ora dove va? Sta scalando la montagna...”, “Mammamia, non le reggerò mai tre ore su ‘sto 'coso'”,...) mi adatto agli sballonzolamenti, ai problemi di equilibrio appena l’elefantona fa un minimo scalino, alle frasche contro la faccia, alle zanzare voraci,... Non esiste sentiero e quindi si seguono i percorsi dei fiumiciattoli (lo scopo è avvistare una tigre), si scavalcano rovi, che l’elefantessa sposta col piedone oppure con la sua proboscide... Le si lascia il tempo di bere e mangiare (ad un certo punto Asha si innamora di un arbusto attaccato ad una parete, sradica tutto e butta giù mezza montagna... Che ridere!) Io mi lascio cullare dall’andamento lento e tranquillo, cerco le tigri, che non trovo (mi sento un po’ come in Svezia, quando cercavamo di avvistare orsi ed alci... che risate!!!), accarezzo Asha per capire come sono fatti gli elefanti (è morbida, me la facevo molto molto più rugosa, ha quasi una pellaccia soffice invece, e allo stesso tempo caldissima...) e, ad un certo punto, il guidatore si gira verso di me e fa: “Ora vuoi provare a guidare tu?” Ed io: “Ma che domande! Certo!” (Che ridere.. Mi sento ancora una volta come in Svezia -despite the climate-, quando mi avevano chiesto se volevo allattare l’alcetta... Non so perché, ma devo avere la faccia di ragazza curiosa, se mi offrono sempre queste cose buffe da "testare"!) Mi fa salire sulla testa dell’elefantessa e lui si mette dietro di me, mi dice di dare dei calcetti gentili per dare la direzione (ma lui da dietro fa quasi tutto... Oppure fa tutto Asha da sola, non lo so!), e io mi esalto, a cavallo della mia bella elefantona!!!
Dopo due ore, finisce il giro in elefante. Scendiamo e risaliamo sulla jeep, rimettendoci sulla via del ritorno. Andiamo a cena e poi a letto: domattina sveglia alle 5.30, levataccia!!!
Nelle foto potete vedere: lo spotted deer; l'elefantino cavalcato dai miei amici, prima e dopo che loro ci salissero sopra; alcune foto per dare l'idea di quello che ho visto coi miei occhi (era difficile fare in modo che le foto venissero ferme e dritte, dato che, insomma, non eravamo proprio su una superficie ferma e statica); una jeep proprio come la nostra, carica di indianini (come al solito, se gli indiani non caricano tutto al massimo, non va bene... noi in 5, loro in 12!!!).

JIM CORBETT NATIONAL PARK… Festeggio il mio compleanno in mezzo alla natura…

8 giugno 2007
Mai avrei detto che avrei festeggiato i miei 24 anni in India. Mammamia, che emozione! Il mio primo compleanno veramente lontano da casa, senza la torta della mamma, senza la festa con gli amici… niente di tutto ciò!
Francesco, un ragazzo che lavora nell’ufficio accanto al mio, mi regala un bel mazzo di fiori (che piazzo immediatamente sulla mia scrivania); compro dei pasticcini che porto al lavoro per mangiarli con un po’ tutta l’Ambasciata (c’è chi, più pacato, prende un solo pasticcino; chi, come il mio supervisore, che tutto contento, ne prende un secondo quasi timidamente; e chi, come le ragazze indiane che lavorano nell’amministrazione e tutti i giovani stagisti che, affondando le mani nella scatola, la finiscono tutta, dando la colpa alla gola e alla fame “famelica” che li attanaglia qui in questo Paese…)
La vera festa, però non è in Ambasciata: si tratta del viaggio (in programma per il week-end) che ho deciso di regalarmi: gita di due giorni e mezzo al Parco Nazionale Jim Corbett, il primo parco dell’India.
Partiamo venerdì pomeriggio, dopo aver aspettato che tutti abbiano finito di lavorare. Siamo in cinque: io, Giuliana (una bella bionda piemontese), Marcus (il suo ragazzo svedese), Sasha (una palermitana, stagista come me) e Manoj (un ragazzo indiano che lavora all’Ambasciata cilena). Li vedete nella foto. La bionda e la mora ho già spiegato come distinguerle, l’indiano lo riconoscete subito, lo svedese è quello che fa lo “spiritoso” col binocolo… Nella foto siamo su una jeep... Ma di questo ne parleremo poi...
Anche stavolta viaggiamo con l’autista. Non è possibile andare in treno, essendo il parco irraggiungibile se non con la macchina e la stazione più vicina a due ore di auto… Decidiamo (in super-ritardo, ovvero… poche ore prima di partire) per un’auto da 7 posti. Il prezzo è piuttosto buono. Dove mai sarà l’inghippo? Subito svelato: l’auto è un bel catorcio-scassone dell’anteguerra, guidata da un simpatico vecchino sikh che, pur essendo in età avanzata (ci ha poi rivelato di avere ben 69 anni…), se la cavava molto bene, a differenza dell’auto, che durante il tragitto:
1. appena usciti da Delhi ha avuto problemi con l’acqua, che ha iniziato a zampillare fuori dal radiatore (così si chiama quell’aggeggio?), non si sa bene perché: forse era poca, forse era andata in ebollizione con i 45-50 gradi dell’esterno, chissà… poco importa! Io e Sasha, sedute una accanto all’altra, ci guardiamo, incrociamo le dita e speriamo di arrivare alla meta sane e salve! Si aspetta un po’ e si riparte...
2. sulla via del ritorno avrà invece un problema di tipo diverso: ruota forata da cambiare… Viste le strade dissestate, la cosa non mi stupisce affatto… Si aspetta che il cric indiano faccia il suo lavoro e si riparte!!!
Venerdì percorriamo i 250km di strada abbastanza a rilento, causa traffico per uscire da Delhi e i problemi con l’auto, e arriviamo all’hotel a mezzanotte in punto (per dare un’idea dei tempi, eravamo partiti alle cinque e mezza). Viaggiamo di notte e sballonzoliamo parecchio, ma siamo tutti allegri e carichi di aspettative: non speriamo di certo di avvistare una tigre, ma almeno di vedere qualche bell’animaletto esotico in libertà e di goderci la natura, dato che nella città in cui abitiamo il traffico, l’inquinamento e lo sporco la fanno da padroni…
Riuscire a vedere un bellissimo cielo stellato è già la mia prima conquista. Lontani dalle luci dei centri abitati, al di fuori della cappa di polvere e inquinamento di Delhi, le stelle SI VEDONO! Che fortuna sapere che le stelle esistono pure in India!!!

Sunday, June 3, 2007

INGIUSTIZIE… Difficile capire questo Mondo…

Ci sono giorni che vorrei chiudere gli occhi e non guardare. Ci sono giorni che vorrei urlare e fare in tutti modi possibili per cambiare le cose… Ci sono giorni che, purtroppo, non mi accorgo di quanto è assurdo ciò che mi circonda e quasi non ci faccio più caso. Mi vergogno quasi a dirlo, perché abituarsi a quello che si vede qui non è certo facile.
Poveri e poverissimi … Capanne super-instabili, che ora che arrivano i Monsoni verranno spazzate via dalle piogge… Bimbi nudi, senza vestiti, e mamme incinta ossute, le cui uniche rotondità sono i loro pancioni… Vivono nella sporcizia, nell’assenza totale di igiene. Mendicano, a volte. A volte non hanno nemmeno la forza per farlo, sotto il sole, e si trascinano, stanchi, in quel poco d’ombra che offre la città, bevendo acqua dalle fontane pubbliche o raccogliendo quella stagnante. Un giorno una bimba si è avvicinata chiedendo un poco d’acqua e allora le ho regalato la mia bottiglia d’acqua mezza vuota. Lei aveva un bicchiere (che era una bottiglia di plastica tagliata a metà, non di certo un vero bicchiere…) con all’interno un po’ d’acqua marrone talmente sporca che viene da chiedersi se lei sopravviverà a berla… A me viene la “cagarella” soltanto a bere l’acqua del rubinetto… Lei come fa a bere acqua marrone di fiume lurido e di pioggia polverosa? Vivono come cani randagi, non conoscono cosa sia la scuola, ma sanno che esiste, non hanno mai provato sulla loro pelle un bel vestito pulito, ma li vedono addosso ai ricchi, che sfrecciano allegri dentro le loro belle auto.

Uno storpio, a cui mancano entrambe le gambe, che si trascina sulle braccia in mezzo alla strada per recuperare una monetina lanciatagli da un autista… Avrà la mia età. E un viso bellissimo...
Un bimbo piccolino, avrà 4 anni, con occhi grandi grandi, neri come la pece, che ti fissa e si aspetta almeno una caramella da te, occidentale ricca e sorridente, che ti sei potuta permettere un biglietto aereo di 600 euro per arrivare fino qui… quante rupie? Non riesco nemmeno a fare il conto… troppe! Bimbo bello e magrissimo, vestito di stracci, che inizia a sorriderti non appena ti vede tirare fuori dalla borsa un succo di frutta e iniziare a berlo: lo vuole lui quel succo di frutta, e non si schioda da lì fino a che non glielo hai dato. Bellissimo e sorridente, si allontana, succhiando con vigore quello che hai lasciato per lui. Grazie - dice. Speriamo che vivrai ancora qualche anno per iniziare ad andare a scuola - penso io.
L’autista dell’Ambasciata vorrebbe andare a lavorare in Italia. Ma quanti stipendi deve accumulare per pagarsi un biglietto aereo per il viaggio? Un anno intero di stipendi e più… Mettendo TUTTO da parte. Prende 3000 rupie al mese. Sono circa 55 euro. Possibile vivere così? E menomale che lavora… Abita in un villaggio del Nord, ai piedi dell’Himalaya, senza luce né acqua corrente. Deve andare al fiume ogni volta, anche solo per lavarsi i denti. Deve andare in bagno in mezzo al bosco, tutti i giorni. Va orgoglioso della sua bella divisa di autista, camicia azzurra, piena di buchi sulla schiena, e pantaloni neri. Sua mamma gliel’ha lavata ben bene prima di partire – mi dice. E lui dopo il viaggio tornerà al villaggio con un po’ di soldi per comprare da mangiare, e chissà, un po’ di mancia, se va tutto bene…
Una bimba con la fame scritta negli occhi, con delle braccine e delle gambette che farebbero impressione a chiunque … Mi tocca i piedi per chiedere l’elemosina. Perché i piedi? - penso io. Faccio per cercare una caramella nella borsa. Il risciò riparte, è arrivato il verde. La bambina si attacca al risciò e lo insegue, con le auto scorrazzanti e strombazzanti nel bel mezzo dell’incrocio. L’autista parte, ma poi, superato l’incrocio, si ferma ad aspettare la bambina che sta correndo e mi sta inseguendo perché ha capito che ho qualcosa per lei… Prende la caramella e mi saluta tutta sorridente. Fa “ciao ciao” con la manina sporca, e corre dalla mamma tutta orgogliosa del suo bottino.
Un vecchio, sdraiato sul marciapiede… - Oddio, ci manca poco che non lo calpesto! - Ha la barba bianca. Ha vissuto su quel marciapiede per un sacco di anni. Chissà quante cose ha visto e quante storie avrebbe da raccontare, ma nessuno ha voglia di ascoltarlo. Non si può dar retta ad uno come lui, un povero intoccabile. Cos’avrà mai fatto nella sua vita precedente per meritarsi questo trattamento oggi?

E cos’avrò fatto io nella mia vita precedente per meritarmi la mia vita? Quanto siamo fortunati ad essere nati sani nel lato ricco del Mondo!

DEI MULTI-COLOR... W l'India e i suoi colori...

Sono ovunque queste divinità kitchissime e coloratissime degli induisti. Dappertutto.
Belli loro, seduti, con le gambe incrociate e le braccia aperte in una sorta di abbraccio, sorridono… Hanno due, ma anche quattro/sei/otto braccia. Dipende… E assumono le forme più strane. C’è Ganesh, per esempio, il mio preferito, un bel ciccione con la testa di elefante, dio della buona sorte, della prosperità e patrono degli scribi (come non poteva essere il mio preferito… date tutte le parole che scrivo?), dipinto e scolpito nelle posizioni più strane e buffe.
Poi c’è Shiva, quello che viene rappresentato coi serpenti tutti intorno al collo. Saraswati e Lakshmi, bellissime. E poi Brahma, il creatore, e Vishnu, e Krishna… Sono infiniti, circa 330 milioni, dicono le stime… Ma chi mai si sarà messo lì a contarli tutti?
E ogni bravo autista di risciò ne ha almeno 3 o 4 stampati lì, vicino al volante o sullo specchietto retrovisore o sul vetro… Come dei santini.
L’ho detto, sono ovunque. Nelle case (con una specie di altarino), sulle scrivanie degli uffici (compresa quella del mio capo), davanti agli ingressi dei palazzi, magari tutti ricoperti di fiori, sui cruscotti delle auto, dove si vede proprio di tutto: semplici immaginette, piccoli soprammobili di vetro disegnato (come quelli che si trovano come souvenir per la Torre Eiffel o il Colosseo…), statuine, più o meno grandi (ne ho vista una, una volta, che sembrava un albero di Natale: con le luci colorate intermittenti tutte attorno… non so come guidava l’autista con un albero di Natale davanti alla faccia!). Tutti pieni di colori, con addobbi e fiori a far loro da collane. Tutti meravigliosamente venerati da questi indiani che si fanno un segno di preghiera anche davanti ad una statuetta messa lì per bellezza di fronte all’entrata di un ristorante.
Bellissime e coloratissime queste divinità induiste. Bellissime e coloratissime, esattamente come gli indiani, che dipingono le facciate e i retro dei loro camion; che si vestono con questi magnifici sari tutti colorati, uno diverso dall’altro, e così eleganti; che si “addobbano” con tantissimi gioielli colorati; che si riempiono di fiori, venduti per la strada con le forme più svariate, compresa a forma di braccialetto, o davanti ai templi, solo i petali, per profumare e addolcire il luogo sacro; che durante la festa di Holi, a febbraio, si tirano addosso i colori… Che festa meravigliosa, un po’ come il nostro Carnevale.
La foto di oggi è di una raffigurazione che mi hanno dato a Pushkar, dovrebbe essere Brahma con Saraswati, la sua sposa (sempre se ho capito bene ciò che mi voleva spiegare il buffo signore indiano che me l’ha regalata, in cambio di una donazione “totalmente volontaria” che ero stata “leggermente” spinta a fare all’interno del tempio…)

Sunday, May 27, 2007

VIAGGIARE SULLE AUTOSTRADE INDIANE… Credo di aver perso dieci anni di vita…

Alcuni di voi già sanno che il week-end scorso ho fatto un piccolo giretto in Rajasthan e Uttar Pradesh (sono partita il venerdì ad ora di pranzo e sono tornata domenica sera, ad ora di cena). Avevo promesso il resoconto del viaggio al più presto, ma sfortunatamente la malattia mi ha costretto a letto e tolto le forze per scrivere i miei soliti poemi, contorti e sconnessi, che mi caratterizzano…
Eravamo in tre, e abbiamo viaggiato con il “driver”, l’autista, un ragazzo che ha la mia età e che lavora spesso per l’Ambasciata. Non costa molto noleggiare auto+autista qui, poi eravamo in tre e potevamo dividere, il giro in programma era molto lungo (abbiamo fatto un totale di 11000km) e il tempo poco, abbiamo dunque preferito questa soluzione alla soluzione treno/pullman, così non eravamo vincolate ad orari prestabiliti e ad attese forzate.
Jitender, il nostro driver, ci ha scorrazzato di qua e di là ed era a nostra completa disposizione. Che lusso, no?
Oggi non voglio parlarvi dei luoghi che ho visitato (Pushkar, Jaipur, Fatehpur Sikri e Agra). Voglio parlarvi del viaggio in sé, quella che è stata per me la vera esperienza!
Voi che avete preso la Salerno-Reggio Calabria, magari anche più volte nella vostra vita, e avete imprecato contro la rete autostradale italiana e l’inefficienza del vostro Paese, qui in India penserete che le autostrade italiane del Sud sono magnifiche!
Innanzitutto, non si tratta affatto di autostrade, come noi le intendiamo. L’unica somiglianza: si paga il pedaggio (ogni tratta diversa, un diverso pedaggio, è tutta una cosa complicata…), e si paga anche a passare da uno Stato all’altro, una specie di tassa doganale (che varia anch’essa a seconda dello Stato). Altra somiglianza: per i tratti di strada normale c’è un limite di velocità: i 90 km/h. Per i tratti di “autostrada”, invece, nessun limite… Per il resto, tutto diverso. E l’anarchia è la sola regola!
Biciclette, moto (3 persone su ogni moto è la norma, a volte 4, una volta ne abbiamo visti perfino 5: papà, mamma, figlia adolescente, figlio di 10 anni davanti al padre che guidava e bambino piccolo abbracciato alla madre… ovviamente, nessuno col casco! Le donne soprattutto, loro il casco non lo indossano mai!! Sei matto sprecare dei soldi per comprare il casco ad una donna?? Mah!!), piccoli furgoncini stracolmi di indiani (pieni zeppi dentro, e poi con tanta gente attaccata alle pareti, alle scalette, magari con un piede dentro e tutto il resto del corpo fuori, magari con tutto il corpo fuori, che ti chiedi quanti chilometri resisteranno così, sorretti dalla sola forza delle loro braccia, in una strada polverosa, a respirare sabbia, e viaggiando a 50 km/h), autobus (anche quelli, stracolmi, con una marea di gente che viaggia sul tetto, tranquilla, seduta lì, e ti chiedi se anche loro pagano il biglietto o lo pagano solo quelli che viaggiano al coperto…), “cammelli-merci”, “cavalli-merci” e “asini-merci”, camion (bellissimi, tutti colorati e personalizzati, dipinti a mano, con la solita scrittona colorata “Please, horn!”… si può incitare all’uso del clacson?? Solo in questo Paese… Con un sacco di addobbi, tipo i triangoloni rossi, quelli da mettere in caso di emergenza, che loro invece attaccano sul davanti del camion, come fossero occhi…), altri vari mezzi di locomozione (carretti trainati a mano, oppure da trattore, oppure da bicicletta, tutti carichi di sacchi di farina, mattoni, animali, altre merci, con dei carichi super-sporgenti, ovviamente mai segnalati, alcuni talmente pendenti che ti chiedi: “Ma come farà a stare in piedi?”) e poi una serie INFINITA di animali di tutti i tipi che attraversa la strada: uomini, cani, mucche, scimmie, capre, cammelli, uccellini, piccioni (quelli sono ovunque e tutti li odiano!!!),… L’anarchia. A volte incontri qualche mezzo che va contromano… tutto normale, mi spiega Jitender, le regole non esistono… Si sorpassa sia a destra che a sinistra, si suona senza ritegno, i camion non hanno le frecce e quindi si butta fuori il braccio per indicare che si sta sorpassando e poi per autorizzare o meno l’auto dietro di te a sorpassare…
Ovviamente le carreggiate sono per lo più con un’unica corsia, e quindi ogni volta che si sorpassa si finisce sull’altra carreggiata e si vede la morte che si avvicina sempre di più, con il volto di un camion che ti sta venendo addosso… È un continuo cambio di corsia, e di rientri rapidi, non appena si scopre che non ce la si fa a sorpassare… Cosa che si può sostenere per qualche chilometro, ma per 11000?? Ho perso dieci anni di vita, ve l’assicuro, anche perché ho goduto dell’ebbrezza di viaggiare tutto il tempo seduta davanti, accanto all’autista, e ho potuto ammirarne le grandi “prodezze” e “braverie”…
E ho potuto vedere deserti, siccità, vegetazione rachitica, tantissima miseria, bimbi magrissimi che trasportavano pesanti carichi sulle loro teste, donne vestite con sari bellissimi e coloratissimi, camion rovesciati in mezzo alla strada, un paio di incidenti (di cui uno brutto brutto, con un camion completamente bruciato), scene di circo, con questi motociclisti che trasportano di tutto, anche sulle loro teste,… Un’esperienza vera e propria! Purtroppo non ho fotografie da farvi vedere (perché si viaggiava spediti e le foto venivano tutte mosse, e poi io sono stata con gli occhi sbarrati e vigili per tutto il viaggio…), ma nessuna foto renderebbe l’idea… questo è sicuro!

MALESSERI… E tutti mi dicono: “Tranquilla, Marta, è l’India!”

Eccola qui… È arrivata… La stavo aspettando. Dicevano tutti che una bella visita dal dottore è un modo come un altro, forse il più comune, per inaugurare la propria permanenza qui in India. E così è stato: dal dottore (dalla dottoressa, per l’esattezza, una simpatica signora indiana che ha studiato a Londra e che quindi comprende perfettamente i problemi di noi occidentali sfigatini, che qui in India sembra proprio non possediamo alcun tipo di anticorpo…) ci sono andata giovedì, dopo tre nottate insonni e due giornate passate poi a letto a cercare di recuperare le forze (sapete tutti come io amo molto poco prendere medicine e andare dal dottore, quindi ho voluto aspettare che il male passasse da solo, ma così non è stato, ovviamente!)
Il famoso “male d’India”: quel malessere che ti prende un po’ all’improvviso e sembra proprio che ti succhi via tutte le forze… Che ti costringe a letto, perché anche stare in piedi e fare un solo passo diventa troppo faticoso… Che genera strani movimenti nel tuo ventre e fa del bagno il tuo migliore amico… il luogo della perdizione! E il caldo che fa in questo periodo dell’anno di certo non aiuta affatto!! Fa diventare ancora più deboli e fiacchi, e fa venire una gran voglia continua di dormire…
A proposito del calore, giovedì è capitata una cosa buffissima: mi stavo misurando la temperatura, per vedere se avevo o no la febbre, e il termometro ha iniziato ad andare da solo… all’aria… Misurava la temperatura interna di casa: 32°… 33°… 34°… Per fortuna sui 34° si è fermato: la mia stanza non aveva la febbre!! Potete immaginarlo? 34° al chiuso, con un ventilatore che va in continuazione, per far girare un po’ l’aria… E nemmeno la notte si scende al di sotto di tale temperatura…
Ora due parole sullo studio medico indiano dove sono stata, per farvi fare le solite risatine della giornata.
Lo studio consiste in una stanzetta, situata nello stesso palazzo dove la dottoressa abita, ma al piano superiore rispetto al suo appartamento. Arrivo lì con Sara, la ragazza che mi aveva consigliato il posto. La dottoressa non c’è. È uscita. Le domestiche parlano solo hindi. Non capiamo quasi nulla di quello che ci dicono, ma riusciamo a trovare il modo per farci dare il suo numero di telefono e riuscire così a fissare un appuntamento. Per fortuna, però, proprio in quel momento, arriva lei, gentilissima, mi chiede di aspettare 15 minuti e poi è a mia disposizione. Entro nello studio. Io, occidentale, abituata al lettino sterilizzato, e agli studi italiani, pieni di apparecchiature e aggeggini, rimango abbastanza colpita nel momento in cui entro in questo posto, che sostanzialmente è una camera da letto. Letto matrimoniale al centro della stanza, una scrivania con sopra uno stetoscopio e dei fogli, e poi un paio di sedie per i pazienti. Niente lettino, niente bilancia, niente tavole per la vista, nessun libro di medicina, nessun armadietto contenente medicinali, niente di tutto quello che potrebbe farmi sembrare quella camera da letto qualcosa di diverso da una semplice camera da letto. Per visitarmi, la dottoressa mi fa sdraiare sul lettone (comodo… un bel pisolino l’avrei fatto volentieri…), mi riempie di domande e alla fine mi scrive quali medicine devo prendere e con quali dosi. Pago 400 rupie (circa 7 euro) e la visita è terminata.
Vado poi in farmacia. Per altre 90 rupie (1 euro e mezzo, circa) compro i tre medicinali prescritti. Che non si vendono, ovviamente, nello scatolino, con il foglietto illustrativo, ecc ecc, come in Italia. No. Ti aprono la scatola, e ti tagliano dalla confezione il numero esatto (o poco più) di pillole di cui tu hai bisogno. Geniali, questi indiani, ad evitare gli sprechi!!!
Per fortuna, dopo l’intervento della dottoressa e della chimica-farmaceutica, sono tornata in me, con i miei soliti sorrisi, un colorito ed un aspetto decisamente più sano rispetto a quello di qualche giorno fa, ed i miei soliti occhi grandi, non più tanto assonati. Si riparte!

Monday, May 14, 2007

MARTA IN AMBASCIATA… Le mie prime impressioni dopo un paio di settimane (scarse) di lavoro in quest’ufficio…


A grande richiesta, oggi parliamo un po’ del mio lavoro qui in Ambasciata… Anche, e soprattutto, perché oggi è stata una giornata davvero positiva, dato che ho potuto partecipare alla “mia” prima negoziazione (“mia” tra virgolette, perché il mio contributo alla riunione è stato pressoché nullo… ma è stato comunque entusiasmante…)! Sono davvero contenta.
Ovviamente non posso dire quali erano le parti… L’informazione è riservata, perché la strada della trattativa è ancora lunga da percorrere… Certo pubblicarlo in internet non sarebbe una grande idea… Posso solo dire che il “mio” console, ovvero il capo dell’Ufficio Commerciale, è stato davvero in gamba… E che si è molto ottimisti…
Tutto in inglese, ovviamente, perché una delle parti era indiana; con tanto di camerieri che servivano acqua, caffé e biscottini; per una durata approssimativa di due ore… Dopo il primo momento di presentazioni e di scambio dei biglietti da visita (e gli indiani che mi guardavano, tanto per cambiare, in modo un po’ strano… dopo che dicevo loro che io il bigliettino “Ministero degli Esteri” non ce l’avevo: sono solo una stagista…), il mio capo apriva le danze con un primo discorso, e poi iniziava la vera discussione, seduti tutti al tavolo della sala riunioni dell’Ambasciata. Per chi ha seguito il corso di linguistica inglese con me, Conoscenti sicuro avrebbe trovato qualcosa da ridire sulla disposizione tipicamente “occidentale” delle sedie, e sulle strategie di involvement e independence delle due parti, una occidentale e l’altra asiatica… Ma questa è un’altra faccenda che non interessa sicuramente a chi sta leggendo questa paginetta…


La foto di oggi rappresenta la sottoscritta, seduta al tavolo della sua scrivania. Come vedete, le sedie sono per nanetti, basse basse… e quindi ci si sente come dei bambini, incapaci di arrivare con la testa sopra al tavolo… Sulla scrivania: computer, stampante, e un vasetto dorato molto “sobrio”, che noi stagiste abbiamo ribattezzato “urna funeraria”, e che, dopo averlo trovato nella cassettiera della mia scrivania, abbiamo deciso di utilizzare come porta-caramelle/mentine/zuccheri/sali minerali… per i momenti di caldo torrido e di necessità di tirarsi su in qualche modo…
Dietro di me, ovviamente, una cartina dell’India… Così da farmi sognare tutte le mete che dovrei ASSOLUTAMENTE visitare in questi miei tre mesi qui…
Nella stessa stanza, ci sono poi un altro paio di scrivanie per stagiste (una è libera, l’altra è occupata dalla mia amica Sara, una ragazza completamente folle… che però del resto dice anche: “Ma tu, Marta, credi di essere normale…? Siamo tutti un po’ suonati noi che veniamo in India!”… e forse non ha tutti i torti… Lei è qui in Ambasciata già da più di tre mesi… Ha infatti prolungato il suo tirocinio MAE-CRUI per un altro mesetto!), e poi ci sono le scrivanie di due indiani, responsabili dell’Ufficio Stampa: un signore, che si occupa di impaginare e stampare la Rassegna Stampa dell’Ambasciata, e poi un'altra signora che, essendo malata, ha anche la sua infermiera personale.
Il mio lavoro da tirocinante all’Ufficio Economico e Commerciale consiste in tutta una serie di attività, che mi prendono, a seconda della giornata, più o meno tempo… alcune sono un po’ noiose, altre molto meno… Esempi: rassegna stampa, aggiornamento di un database dell’Ambasciata, pubblicazione di gare d’appalto internazionali, ricerche di vario tipo su argomenti che riguardano l’economia indiana,... I primi giorni avevo un sacco di tempo libero e poco da fare, ora un po’ meno… Il lavoro è sempre un po’ di più e c’è sempre qualcosa da fare…
Ovviamente qualche volta bisogna anche inviare qualche fax, scrivere delle mail di risposta a degli indiani che chiedono delle informazioni, oppure telefonare ad un hotel per poter parlare con un signore che alloggia lì, con cui il giorno dopo si avrà una riunione qui in Ambasciata… Anche questo era un po’ da aspettarselo, almeno però è tutto in inglese e posso fare pratica con la lingua!
Ad ogni modo, sono qui per conoscere ed imparare, e piano piano sto riuscendo a fare entrambe queste cose… Sono in assoluto la più giovane. Le altre tirocinanti hanno dai tre ai quattro anni più di me, e le persone che lavorano, anche le più giovani, hanno tutte quasi trent’anni e più… Questo è per me un grandissimo stimolo.
L’ambiente è ok. Non è troppo formale. Anche nel mio ufficio, vogliono tutti del “tu” (onestamente, sapete come sono… Non sono abituata… E ancora molto spesso mi incarto con il “lei”…). È tutto piuttosto interessante, perché sto scoprendo quali tipi di figure professionali e di possibili impieghi esistono all’interno di un posto così. Sono proprio contenta di aver scelto un tirocinio presso l’Ufficio Commerciale, che secondeo me è un ufficio parecchio dinamico.
Nel frattempo, ho conosciuto anche un po’ di persone che lavorano in altre Ambasciate, o all’UE, all’ONU, all’UNDP… Uno di questi è un ragazzo che ha studiato a Torino (il mio stesso corso di laurea)… E che si è laureato con Porro (che, per chi non lo sapesse, è uno dei miei prof. preferiti, nonché il mio relatore della triennale). Non immaginate che buffo è parlare di Università di Torino qui a Delhi, a migliaia di km di distanza!

QUESTI UOMINI DELLE “INDIE”… Valli a capire…

Alcune considerazioni sugli indiani… su questi milioni di persone (pulite e profumate o terribilmente sporche e puzzolenti… straordinariamente belle oppure decisamente bruttine… simpatiche e socievoli oppure così taciturne che comunicano con un solo movimento della testa senza fare nemmeno un sorriso…) che ogni giorno incontro per strada e che mi guardano sempre con fare incuriosito.
In dieci giorni ho imparato alcune cose della gente del posto, anche se, e questo ovunque, le persone sono come matriosche, bisogna scoprirle velo dopo velo, strato dopo strato, per arrivare al loro nucleo centrale, alla loro anima, e capirle così fino in fondo… Io ci provo, piano piano, consapevole che la piccola matriosca centrale è ancora assai lontana…
Ecco ciò che ho imparato fino ad ora.
Senso della famiglia. Forte ed estremamente radicato. È bello vedere queste grandissime famiglie allargate muoversi per la città. Ieri era domenica e ho fatto un giro all’India Gate, una sorta di arco trionfale, costruito a ricordo dei morti in una guerra fallimentare di inizio ‘900, vicino al quale c’è un parco con alcuni mini laghetti, coi pedalò che girano in tondo e i bimbi che fanno il bagno. E ci sono intere famiglie che fanno i loro enormi pic-nic e scattano foto davanti al monumento… Sono così buffi, posizionati in ordine di altezza, dal più grande al più piccolo, uno accanto all’altro, ordinati, le donne vestite con dei sari meravigliosi pieni di colori, e gli uomini con le loro solite camicie a maniche lunghe… Intere famiglie da 10-15, insieme tutte le domeniche… Bello.
Solidarietà. Sono molto solidali gli indiani. Moltissimo. Spesso, se c’è una persona in bicicletta che passa e vede un altro a piedi sotto il sole, senza conoscerlo, lo chiama e gli chiede se vuole un passaggio. L’altro ringrazia, accetta, e cosa fa? Prima di saltare sulla bicicletta, dà una spinta, per bilanciare la fatica in più che è costretto a fare il primo ai pedali. E ad ogni incrocio, ad ogni semaforo, scende (magari anche per distendere le gambe), per poi risaltare su al momento della partenza, non senza aver dato una potente spinta prima di salire.
Contraddizioni. Può un popolo così solidale permettere poi il sistema delle caste? Mah! Ancora non mi ci abituo (ci metterò una vita …) agli “intoccabili”, coloro che appartengono alla casta più umile, che dormono per strada o sui marciapiedi (gente buttata sui marciapiedi e gli altri che quasi camminano loro sopra… e quanta gente in questa situazione… Non potete immaginare, se non avete visto. Non hanno neppure giornali o coperte su cui allungarsi. Stanno lì, ai bordi della strada, per lo più rannicchiati per occupare meno spazio possibile, spesso senza vestiti o quasi, pelle e ossa, occhi incavati e sguardo perso nel vuoto). È possibile? È possibile che coloro che offrono passaggi gratuiti, che sono così cordiali da salutare molto spesso per la strada (“Namaste, Madam” mi dicono…), che quando vedono un auto in panne si fanno in quattro per aiutare, così come quando vedono una persona che spinge un carretto e non ce la fa più… poi, accettano di calpestare il corpo di un altro??
Le contraddizioni e le disuguaglianze sono evidenti ovunque, a partire dal traffico cittadino, che è spesso composto da carretti trainati da omini che lo fanno proprio di mestiere, ciclorisciò i cui autisti sono costretti a dormirci dentro (e quindi tutti rannicchiati, sul sedile del passeggero, che è di metallo e scoperto… quindi quando piove… sono spacciati!), altrimenti glielo rubano, e poi i fuoristrada, le auto di grossa cilindrata che, con l’autoradio a tutto volume, vogliono farsi vedere a tutti i costi. E se vedi i vestiti e le facce di chi guida questi mezzi capisci tutto.
Oppure le case: accanto alle bellissime ville dei dottori e dei giornalisti, ci sono le baracche dei poveri (spesso tende, che anche in questo caso… quando piove…). Accanto alla casa della mia padrona di casa, ai nostri monolocali… ecco le abitazioni decadenti della servitù (mi permetto di chiamarla così, anche se sono ufficialmente governanti, donne delle pulizie, autisti, ecc. ecc… Una vera e propria squadra…) L’altro giorno ho visto chi è la persona che fa le pulizie nella mia stanza (qui è cosa comune, avere in affitto stanza e servizio di pulizia… Alle volte ti fanno anche servizio cucina, ma, per fortuna, non è il caso mio … Mi immaginate a mangiare indiano tutti i giorni? Un fuoco al posto della mia bocca…): è una bambina… Non credo arrivi ai 14 anni, non credo proprio. Che tristezza… E io che ho scritto pure una tesina sullo sfruttamento minorile in India...
Amicizia. Si vogliono bene gli indiani. E non lo nascondono affatto. Mi fa ancora un po’ effetto, ma è cosa comune e mi ci abituerò, sono sicura. Si tengono per mano, si abbracciano, si mettono il braccio attorno alla vita o sulla spalla… Tutti. Gli amici soprattutto. Avete mai visto voi in Occidente due amici che si tengono per mano? Io, mai! Qui è cosa assolutamente comune. Non è una stretta forte, è piuttosto una stretta delicata. Che mi fa un sacco di tenerezza…
Curiosità. Sono tanto curiosi, questi indiani. Ogni volta che salgo sul risciò mi riempiono di domande. Mi chiedono da dove vengo, e alla risposta “Italy” allora tutti dicono: “Oh, Italy! You know? Sonia Gandhi from Italy!” Sempre me lo dicono, che forti, e sempre in questo modo sgrammaticato e buffo! E appena pronunciano “Italy” io mi faccio un sacco di risate…Poi ci sono i turisti, con le loro macchine fotografiche o cellulari con fotocamera, che ti incontrano e ti vogliono fare a tutti i costi delle fotografie. Mi è capitato già un sacco di volte. Loro si avvicinano e ti chiedono, col sorrisone sulla faccia, se possono fare una foto con te, o addirittura se possono farti una foto, a te soltanto! Che cosa buffa! Mi fa ancora un sacco ridere… Sembra che non abbiano mai visto gente con la pelle chiara… In effetti, persone occidentali se ne vedono proprio poche (ovviamente, escludo il quartiere delle Ambasciate). Girando nei luoghi turistici, per esempio, questo week-end, ne ho incontrati pochissimi di Occidentali. Ieri un francese (tra il resto scuro di pelle…), sabato un austriaco, e poco più. Nei mercati ogni tanto c’è una persona bianca a fare la spesa, ma è qualcosa di più unico che raro… Sembra poi ci sia un giro di prostituzione dalla Russia (come un po’ tutto il Mondo, anche l’India è stata colpita da questa “malattia”…). Forse nei luoghi di mare, tipo Goa o il Kerala, magari le cose sono un po’ diverse, ma qui a Delhi noi bianchi siamo ancora una grande novità e una netta minoranza! (e devo anche ammettere che, giorno dopo giorno, sono sempre meno bianca pure io… grazie al sole super-potente di qui, il mio colore “bianco-mozzarella” si sta lentamente “affumicando”…)

JAMA MASJID, LA MOSCHEA PIÙ GRANDE DELL’INDIA… Sono rimasta affascinata…


Signore e signori… Ieri sono entrata, per la prima volta nella mia vita, in una moschea: indimenticabile...
Sono le 5 del pomeriggio. Io e Francesca (una ragazza che lavora all’Ufficio Cooperazione e che è arrivata in contemporanea con me) decidiamo che dobbiamo assolutamente andare a visitare Old Delhi e scoprire com’è… I racconti che abbiamo ricevuto fino ad ora non sono certo dei più rassicuranti: c’è chi parla di un vero e proprio “carnaio” (nel senso di massa informe…) di gente, c’è chi parla di case fatiscenti e povertà, c’è chi parla di gran confusione e assenza di regole. Tutto vero: Old Delhi, la parte più antica della città, dove sorgono alcuni dei monumenti più belli, ma dove TUTTI sconsiglierebbero di vivere, è un vero e proprio casino!
C’è gente ovunque, che tenta di venderti qualsiasi cosa: frutta, spremute, gelati (che non potrò mai assaggiare: tre mesi di anticorpi non saranno mai abbastanza per sopravvivere!!), cappelli, foulard, tende, cuscini,… bambini che chiedono l’elemosina e ti si attaccano FISICAMENTE ai pantaloni, fino a che non sei costretto a cedere (devo comprare qualche caramella o matita colorata da regalare a questi bambini sulla strada: soldi meglio non regalarli, ma a volte è impossibile cedere perché sono davvero troppi, e alcuni saltano dentro ai risciò in corsa, vedendo che sei occidentale, pulita e vestita bene…), anche se poi quando regali qualcosa ad uno è una vera tragedia: si forma il capannello di bambini tutt’attorno ed è la fine…
Arriviamo alla moschea. L’autista di risciò decide di aspettarci all’uscita così gli possiamo pagare anche il viaggio di ritorno e noi accettiamo, ovviamente soltanto dopo aver concordato il prezzo. Ci incamminiamo verso la moschea, facendo qui e lì un po’ di fotografie e scansando qualche bimbo appiccicoso. Passiamo attraverso un metal-detector decadente, in legno (che, secondo la nostra impressione, sta lì solo per bellezza… o bruttezza, a seconda dei punti di vista…) e ci incamminiamo verso gli scalini. Saliamo. Ai lati, mendicanti allungano un braccio e chiedono un po’ di carità. Una serie di musulmani (e non) ci guardano davvero in modo strano: alcuni con curiosità, altri con fare sospettoso (Francesca ha una maglietta che le lascia le braccia scoperte, e nessuna di noi due indossa il velo…), altri guardano e basta , e io non riesco a decifrare di che tipo di sguardo si tratta…
Entriamo nella moschea. Dobbiamo pagare la quota per poter fare le fotografie all’interno (200 rupie, meno di 4 euro) e a Francesca danno un mantello per coprire le spalle. Ci togliamo le scarpe (stavolta però tengo i calzini!), che possiamo portare con noi ed entriamo. Meraviglia! È quasi il tramonto e la luce crea un effetto favoloso…
La Jama Masjid è la moschea più grande dell’India, è stata costruita nel ‘600, ha tre portoni d’ingresso, quattro torri agli angoli del cortile e due minareti… Bellissima. Dopo aver gironzolato, scattato un bel po’ di foto al cortile centrale, alle torri, ai musulmani in preghiera, decidiamo di tentare la scalata del minareto… Ovviamente alle donne da sole non è consentito entrare. Siamo spacciate! Come facciamo?? Troviamo un ragazzo austriaco da solo (l’unico occidentale all’interno di quel posto immenso!) e ci uniamo a lui, che accetta ridacchiando: “Ah, ah… Non si fidano proprio delle donne! Ah, ah!” Il bigliettaio è d’accordo: ci lascia fare i biglietti, con lui possiamo passare. Paghiamo altre 20 rupie (qualcosa meno di 40 centesimi) e iniziamo a salire. Ad un certo punto ci chiedono di pagare altre 10 rupie per depositare le scarpe (che non potevamo più portare con noi nei nostri zaini/borse… mah! Strane regole…), ma soltanto le scarpe, mi raccomando (l’austriaco voleva lasciare tutto lo zaino: “Non sia mai detto!”). Dopo una serie di ripidi scalini, arriviamo in cima alla torre. Gran bella vista da lassù! Il panorama che si gode è stupendo: già la moschea è in una posizione rialzata rispetto alla città, la torre poi sono altri 40 metri in più… Si vede tutta Delhi (o almeno fin dove si riesce a vedere, dato che si estende più in là di quello che l’orizzonte permette di osservare…)
È ora evidente ai miei occhi: un piano regolatore della città non esiste né è mai esistito! “Crescita incontrollata” (termine che alle volte si trova anche in riferimento all’economia e alla demografia del paese…) è quello che mi viene in mente…
La vista è comunque stupenda, con la luce del sole al tramonto che crea un effetto davvero poetico. Dopo essere state incollate alla grata per un po’, aver fatto amicizia con un’indiana che doveva assolutamente sapere da dove venissi e come mi chiamassi… (Era l’unica donna lassù con noi e, dopo aver scambiato con me un sorriso, aveva pensato bene di fare due chiacchiere…), scendiamo giù, ringraziamo l’austriaco, gli auguriamo buon viaggio (lui andrà a farsi un bel giro sull’Himalaya e poi giù a Sud a godersi il mare di Goa…) e ci fermiamo un poco a rimirare le nostre belle foto sugli scalini, all’uscita, dopo aver potuto re-infilare ai nostri piedi le nostre scarpette! Scavalchiamo la folla, che si è fatta ancora più numerosa, per arrivare al nostro rikshaw-man, che ci aspetta sorridente: torniamo a New Delhi (“Nuova”, per gli amici…), ai nostri alloggi.

Wednesday, May 9, 2007

IO E LE ZANZARE… Volete la guerra? E guerra sia…


No, no, non sono allucinazioni… Ci vedete ancora bene! Quella lì, semi-straidata sul letto (direi in posizione quasi da antico romano sul triclinio) sono proprio io… Ed è proprio una zanzariera quella che vedete cadere dal soffitto e circondare il letto...
Ebbene sì, dormo in un letto/tenda a baldacchino… Uno degli escamotages che sto adottando per sfuggire all’attacco-zanzara… Chi di voi mi conosce bene, infatti, sa che io normalmente sono una sorta di “calamita” da puntura di zanzara e mi ha visto nelle condizioni peggiori, piena di punture da tutte le parti… Le foto della mia laurea (era luglio… caldo torrido a Torino nell’estate 2005, la stessa estate dell’invasione delle cavallette, tra il resto…) ancora mi ricordano che pure quel giorno avevo un bel segno, proprio sulla fronte, dovuto ad una “visitina” di uno di questi odiosi esseri…
Dato che le zanzare indiane non sono innocue come quelle italiane, ma portano malattie come malaria e febbre dengue (sembra, però, che questa non sia la loro stagione… farà troppo caldo anche per loro, evidentemente! Forse quando arriverà il monsone le cose cambieranno, ma adesso la situazione pare abbastanza tranquilla…) era bene che mi attrezzassi!
Comprata in Italia (ci credete che i supermercati di Trento vendono le zanzariere da letto?), ha viaggiato in valigia con me e l’ho montata sia nella mia camera di ostello, sia nella mia nuova stanzetta (di cui potete scorgere il letto, il condizionatore modello anteguerra, che quando lo si accende sembra che decolli un aereo, e una tenda…)
Hanno viaggiato con me tutta una serie di protezioni per eventuali attacchi da insetto molesto, ovvero:
a) Un elettroemanatore Vape, con due belle ricariche (quello che si attacca alla corrente e dovrebbe ucciderle… in teoria… in pratica a queste zanzare non sembra fare alcun effetto… e continuano a gironzolare beate per la stanza!!);
b) Due bei barattoli di Autan;
c) Alcune salviettine imbevute di Autan o simile, per quando sono in giro e si fa sera, e mi voglio spalmare un po’ di schifezza appiccicosa… ma utile...
E fu così che mi si riempì la valigia (voi direte…) Vero! Ma, del resto, “prevenire è meglio che curare”, no?
Ed infatti in questa situazione al limite del ridicolo ho soltanto un paio di punturine… Incredibile! E ci sono state un paio di notti che sono andata a dormire con decine di zanzare gironzolanti per la stanza… Le simpatiche amiche avranno deciso di cambiare bersaglio… O di restare affamate… Tiro un sospiro di sollievo quando penso alla mamma, che mi ha fatto mettere in valigia tutte queste cose… e lo faccio soprattutto quando vedo le braccia e le gambe delle mie colleghe piene di punture!
È proprio alla mamma (e anche al papà, ovviamente) che dedico il post di oggi (è carino dedicare un post ai genitori, no? Joanne direbbe che è una cosa tipicamente “italiana”, e che noi siamo esageratamente attaccati alla famiglia, ma io aggiungo che è una cosa anche molto “indiana”, dato che anche qui si vive proprio per la famiglia… E dunque questa dedica è qualcosa di NECESSARIO per una come me: un’italiana in India…).
Vorrei però dedicare il post anche ad Anna, che mi aveva detto che avrebbe pensato a me proprio nella buffa maniera rappresentata dalla foto… (le avevo infatti già raccontato della zanzariera e non poteva smettere di ridere…) La foto infatti e' stata scattata solo per lei!

Sunday, May 6, 2007

IL MIO PRIMO VERO “TUFFO” NELLA CULTURA INDIANA… La visita al tempio…

È domenica. Le mie colleghe dell’Ambasciata (tutte lavoratrici pagate… uffi… io sono l’unica stagista!) sono andate in Uttaranchal, una regione ai piedi dell’Himalaya, ad Almora, un’amena località di montagna, per fare due giorni di trekking… Io ho dovuto rinunciare a mio grande malincuore, sperando che si organizzerà a breve un’altra gita simile, perché:
1. ieri ho dovuto traslocare dall’ostello alla mia nuova casa (che è una stanzetta con cucinino e bagno privato, piccola, ma sufficientemente accogliente, in una zona abbastanza decente e ad un prezzo ragionevole…)
2. è meglio non muoversi molto durante la prima settimana in India e cercare di condurre una vita salutare e tranquilla, altrimenti si rischia lo shock iniziale e una prima crisi di salute, che io voglio accuratamente evitare per riuscire a godermi il più possibile la mia permanenza qui (per ora, devo dire, mi è andata bene a livello di salute, anche perché sto prendendo tutte le precauzioni del caso, grazie alla mia oramai amica fidata “Amuchina”…)
Sono dunque rimasta in città e ho trascorso un’intera giornata con Andrea (la ragazza tedesca che abita esattamente sopra di me), Velu (un suo amico indiano di Chennay che lavora a 30 km da Delhi e che la sta portando un po’ in giro per la città in questi giorni) e Vinty (questo nome non so assolutamente come si scriva, con ottime probabilità in tutt’altra maniera… ma poco male… si pronuncia così! Lei è una collega di Velu, che ci ha fatto un po’ da guida oggi, dato che lui, insomma, non era molto esperto riguardo al centro città…)
Velu ci ha scorazzato per la città con la macchinina di Vinty e siamo andati a mangiare in un ristorantino per turisti con il menù in inglese (incredibile! Non è cosa tanto comune qui), poi a visitare Connaught Place, la piazza centrale della città (enorme!) e il principale tempio di Delhi, ed infine a prendere un caffè in un posto che si chiama Piccadelhi e che dentro è tutto molto “British”, con le tipiche “mail boxes” e “phone boxes” inglesi, i tipici segnali stradali e segnali della metro, insomma… sembra Londra! (non mi chiedete perché uno dei primi bar in cui io sia entrata è un bar così poco “esotico”, non lo so nemmeno io, ma sembra che i posti un po’ troppo esotici siano a volte da evitare perché un po’ troppo poco raccomandabili per l’igiene… Indovinate come si chiamava il primo bar in cui sono entrata il mio primo giorno qui, insieme a due ragazze italiane, la prima stanziata in India da più di tre mesi? Barista!! Nessun commento neppure su questo…)
Bene, voglio parlarvi della visita al tempio, che è stato qualcosa di assolutamente unico…
Stava iniziando a piovere (la stagione delle piogge non è ancora iniziata, ma sembra che qualche acquazzone estivo lo si possa incontrare anche nei mesi d’estate, di caldo torrido, come quello di maggio)… Abbiamo ugualmente deciso di entrare, anche perché i templi sono in parte coperti e dunque non ci saremmo dovuti di certo bagnare… Bastava al limite aspettare che spiovesse! Le ultime parole famose…
Il tempio principale di Delhi è abbastanza interessante. Le mie amiche archittette non si spaventino per favore per la mia descrizione così poco accurata e molto da ignorante (quale io sono senza dubbio in materia…) Da quello che ho capito non è stato costruito moltissimi anni fa, ma ha la forma tipica dei templi induisti, quelli antichi. Si tratta di un bel monumento dai colori molto accesi (varie tonalità di giallo e rosso e, ovviamente, bianco), costituito da una serie di torrette più o meno alte e dalle forme più o meno allungate, da tante colonnine e tanti balconcini, e cosparso di tutta una serie di simboletti che ancora non ho idea di quello che significhino (ad esempio, ho visto alcune svastiche, che senza dubbio qui avranno un significato diverso dall’Europa, ma quale? Suggerimenti??)
Come già probabilmente saprete, in tutti i templi induisti si entra senza scarpe… Le scarpe si lasciano appena fuori dell’entrata, da un omino che le infila in uno scompartimento e consegna un numerino per poterle ritrovare lì in mezzo alla confusione, tra tutte, quando poi si esce dal tempio… Si possono tenere i calzini, ma dato che stava iniziando a piovere parecchio si è pensato bene di lasciare anche i calzini, insieme con le scarpe, e si è entrati dentro al tempio scalzi, come poi fanno tutti gli indiani, del resto, che normalmente vanno in giro con dei sandali molto pratici, ma che ti riducono i piedi in terriccio al solo camminare per le strade della città anche solo per una decina di minuti.
Lasciamo dunque calze e scarpe ed entriamo, facendo attenzione a non scivolare (gli spazi coperti del tempio sono solo alcuni (la scalinata d’ingresso e le sale di preghiera sono al coperto, ma per raggiungere le varie sale bisogna percorrere ampi cortili e strette scalinate all’aria aperta)… dunque bisogna stare bene attenti: piedi nudi su marmo bagnato danno un unico risultato, ovvero sederata su pavimento! Per fortuna, oggi non è capitato!Dopo aver lasciato macchina fotografica e cellulare all’ingresso, saliamo le scale per entrare nella grande sala. Purtroppo non posso mostrarvi delle fotografie, essendo vietato (così com’è anche vietato bere alcolici, fumare o entrare vestiti in modo poco decoroso, essendo un luogo di culto), ma l’atmosfera dovete immaginarla, stupenda, anche (e forse, soprattutto) per l’effetto che si era creato con il gran temporale all’esterno.
Fuori, un temporale pazzesco, con una pioggia fitta fitta che sollevava un bel polverone di sabbia e polvere, facendo anche cadere qualche ramo di albero (io e Andrea ne abbiamo visto cadere uno davvero gigantesco!) e dentro, la pace e la tranquillità di un luogo profumato di incenso, ricco di fiori e di persone sedute su questi grandi tappeti a pregare o anche chiacchierare tra loro. In fondo alla sala, la statua della divinità (a seconda della sala, una divinità diversa, mentre il Creatore, Brahma, lui si trova solo a Pushkar, la città “santa”, non troppo lontana da qui). Davanti alla divinità, una sorta di altare, con un omino che ti offre dei fiori da porgere alla divinità e la tintura per segnarti il pallino sulla fronte, dimostrazione che hai visitato il tempio.
Con i piedi sporchi e puzzolenti a causa delle terribili pozzanghere formatesi all’interno del tempio, che abbiamo poi tentato di asciugare in maniera maldestra e poi di corsa lavato non appena arrivate a casa, ma con un gran sorriso sulla faccia per la buffa situazione che si era creata, io e Andrea abbiamo fatto il nostro primo “tuffo” nella cultura indiana! Ci sarebbe potuto essere un modo migliore???

SCORRAZZANDO PER LE VIE DELLA CITTÀ… Come riuscire a farsi largo per le strade di Delhi…


Il post di oggi è interamente dedicato al mezzo di trasporto con cui sono solita “divincolarmi” nel gran traffico cittadino…
Dovete sapere che Delhi (città che conta soltanto nell’area metropolitana circa 13 milioni di abitanti, secondo quelle che erano le ultime stime che avevo visto dall’Italia prima di partire -ma bisogna stare molto attenti… perché questi indiani si moltiplicano come conigli, e quindi fanno subito a crescere in numero… chissà a quanti sono arrivati in quest’ultima settimana!!- ) è una città piuttosto caotica e trafficata (“piuttosto” è certamente riduttivo, sia ben chiaro…), in cui l’aria (già pesante e difficile da respirare per il calore che c’è…) diventa ancora più intollerabile a causa del traffico…(per coloro che vivono a Torino o hanno avuto il piacere di conoscere il traffico di Torino, beh, dovete sapere che non mi lamenterò mai più! Promesso!)
L’inquinamento qui è di diverso tipo:
1. da gas di scarico (certo le “super-modernissime” automobili che circolano per le strade della città non sono Euro4…)
2. acustico (mio Dio, sembra che suonare il clacson sia l’hobby preferito del cittadino medio di Delhi… Clacson che viene utilizzato in vario modo: a) in effettivo caso di pericolo – e questo è indubbiamente il caso meno comune; b) in caso di “quasi” pericolo, o semplicemente per lamentarsi a causa di una manovra un po’ sprovveduta di un qualsiasi altro conducente – cosa che invece si verifica assai frequentemente; c) in tutti gli altri casi (es. suonare ad una ragazza che cammina per la strada oppure ad un povero venditore ambulante posteggiato al lato della strada per catturare la sua attenzione e chiedere un’informazione, suonare giusto per il gusto di farlo, nel bel mezzo del nulla, perché magari si stava canticchiando allegramente una canzoncina e si aveva voglia di produrre un qualsiasi effetto sonoro… giuro che è capitato, ad un autista di risciò su cui io ero salita…) e l’unica volta a cui ho potuto assistere ad un incidente (tranquilli, una sciocchezza: una macchina che usciva da un parcheggio senza dare la precedenza…) il clacson ovviamente non è stato utilizzato!
3. da sputi (non ci crederete, ma ho letto più di una volta cartelli che dicevano “Please, don’t split on the road”… e questo ci riconduce ai nostri autisti di risciò di cui parleremo più avanti…)
4. da spazzatura, buttata fuori dal finestrino, anche abbastanza spesso.
Per meglio sopravvivere in questa “giungla”, il mezzo più efficiente è senza dubbio il risciò, che io prendo tutti i giorni, più di una volta al giorno…
Quando parlo di risciò, ovviamente intendo l’autorisciò, non il ciclorisciò… Il secondo mi sono azzardata solo una volta a prenderlo (in compagnia della mia vicina di stanza, una ragazza tedesca che anche lei sta facendo uno stage all’Ambasciata, quella tedesca ovviamente), perché quel poveretto sotto il sole cocente, magro come uno stecchino, che spinge a fatica la bicicletta, mi fa abbastanza pena (come ben sapete, non sono certo un peso piuma…) e soprattutto perché le tratte che devo percorrere solitamente sono piuttosto lunghe… il poveretto collasserebbe senza ombra di dubbio! È vero che molto spesso quello rappresenta la sua unica fonte di guadagno, ma diciamo che aspetto di percorrere tratte più brevi per prenderlo altre volte…
Parlo dunque degli autorisciò, una sorta di apetta, con tettuccio, ovviamente che va soltanto marcia avanti (per la marcia indietro, c’è l’efficiente sistema dell’omino che mette giù il piede e spinge all’indietro…), molto spesso senza le lucette posteriori, a volte con un finestrino dietro per vedere dallo specchietto retrovisore, a volte no (niente paura, gli specchietti laterali esistono! Anche se a volte l’omino deve lottare con la gravità per farli stare su…), con un tassametro rotto che non è certo cosa utilizzare (di solito si concorda il prezzo appena saliti sulla vettura), generalmente due o tre posti (in due si viaggia comodi, in tre un po’ strettini, ma ho visto intere famiglie di indiani da 5 entrarci dentro… una cosa buffissima, con piedi e sederi che spuntano da tutte le parti, e i bimbi ovviamente in piedi davanti ai genitori!), ovviamente senza frecce – il simpatico omino mette un braccio fuori dall’apetta (braccio sinistro o destro a seconda della direzione, proprio come si fa in bicicletta… esatto!) per mostrare dove sta andando a coloro che si trovano dietro di lui, ovviamente senza cinture di sicurezza, né metodi per non essere sbalzati fuori dalla vettura, ma in genere va così piano – soprattutto in salita, specie se stracarico di “piccoli indiani” – che il pericolo proprio non si pone! Per dare un’idea, non mi si sono mai scompigliati i capelli per il “forte” vento!
La cosa più buffa però di tutto ciò sono i conducenti… Omini piccoli, molto scuri di carnagione a causa delle intere giornate trascorse all’aria aperta, anche se sotto un tettuccio, per lo più giovani, ma ce ne sono anche alcuni coi capelli bianchi, molto poveri, che spesso non hanno neppure il resto da darti (e sto parlando di 10-20 rupie, meno di 50 centesimi di euro), che nella maggior parte dei casi parlano solo hindi (ti capiscono quando chiedi: “How much?” o “left” e “right”, ma già coi numeri hanno grossi problemi… e così ho imparato a contare in hindi fino a 100!) Loro meritano veramente tutto il prezzo che si paga per la corsa! Sono davvero uno spasso! Mi è infatti già capitato in questi pochi giorni che:
a) l’autista si fermasse per poter espletare i suoi bisogni impellenti dietro ad un alberello nel bel mezzo della strada principale… (Mi fa: “One minute” e scompare… Io, ingenua, mi chiedo: “Ma dove sarà finito?” e poi intuisco…)
b) il veicolo si fermasse, ovviamente nel bel mezzo di una rotatoria (che, devo ammetterlo, sono più comuni che a Trento, soprattutto nel quartiere delle Ambasciate… Chi conosce Trento, può immaginare…) e il simpatico omino scendesse, tentasse in qualche modo di riparare il motore situato nel retro e riprovasse… Non contento, perché il veicolo ancora non riusciva a partire, chiedesse alla sottoscritta (che stava morendo dalle risate…) se per favore gli girava la manopola dell’acceleratore, mentre lui trafficava coi cavi del motore… E magicamente si riparte! Ovviamente dopo aver ringraziato la sottoscritta tre o quattro volte (che comunque ha lo stesso pagato l’intera corsa, sia ben chiaro…)
c) il veicolo si fermasse perché sovraccarico e in salita (non mi è capitato direttamente, ma l’ho visto con i miei occhi…)
d) il conducente chiedesse indicazioni ai passanti su dove dovesse recarsi (questo è abbastanza comune, essendo la città molto grande e i quartieri divisi in “blocks” che normalmente vanno dalla A alla F… io abito all’A-10, per esempio, ma ho visto anche D-355…)
e) il conducente sputasse sulla strada
f) il conducente si mettesse a cantare a squarciagola e iniziasse a suonare il clacson a ritmo di musica.
Ad ogni modo, sono degli artisti… Riescono ad intrufolarsi dove nessuno oserebbe, non costano molto e arrivano più o meno ovunque… Basta fare un cenno e loro arrivano, oppure insistono perché tu, che vai a piedi in tutta tranquillità, salga a farti un giro… Come l’omino sikh davanti all’ostello, che una volta mi ha pure detto: “No rikshaw? For you, free!” Poveretto, lui era lì tutte le mattine e io sempre che gli dicevo: “No, guarda che vado a piedi… Non devo andare lontano!”
Beh, come avrete capito, ci sarebbe da scrivere un manuale su questo fantastico mezzo di comunicazione diffuso un po’ in tutto il mondo, con i nomi più diversi, tipo “Tuc-tuc”, che è decisamente il più carino di tutti… Qui a Delhi è senza dubbio un’alternativa molto più economica dei taxi (che non sono economici, confrontati coi prezzi indiani, ovviamente) e molto più efficiente degli autobus (che non passano mai, sono sempre stracarichi di gente e puzzano alquanto...)

Wednesday, May 2, 2007

PILLOLE DI INDIA... Il primo impatto...

Eccomi qui. Secondo giorno di lavoro all'Ambasciata e terzo giorno in totale in India, in quello che in tanti definiscono "tutto un altro pianeta"... E non hanno affatto torto... Tutto funziona in modo strano in questo paese... Paese che, esattamente come il nostro, e' composto di persone (anche se piccole piccole e soprattutto nere nere...), che pero' ti guardano in modo interrogativo perche':
a) sei bianca bianca come il latte
b) sei una ragazza
c) sei tipicamente europea e qualche volta vai in giro da sola (lo capiscono da un miglio di distanza che sono occidentale, ma, per fortuna, subito si accorgono anche del fatto che non sono americana)...
Tutto sembra funzionare alla rovescia... A partire dal fatto che per dire di SI qui si scuote la testa a destra e poi a sinistra... lentamente... proprio nello stesso modo con cui noi solitamente vogliamo intendere NO!!
E poi ci sono i famossissimi e modernissimi estintori per incendi: secchi di sabbia con sopra scritto FIRE, tre o quattro, vicini tra loro, in ogni piano dell'ostello dove sto alloggiando in questi giorni (qui all'Ambasciata, per fortuna, esistono gli estintori, quelli modello classico...).
E ancora le mucche per la strada, che contribuiscono ad accrescere il traffico caotico della citta'... e i cani randagi... e le scimmie, libere e felici sui marciapiedi vicino al "Monkey Park", che gironzolano in cerca di qualcosa da mangiare, ma anche al guinzaglio dei loro bei padroni. Avete mai visto un paio di scimmiette al guinzaglio?? E' la fine del Mondo!!
E poi ci sono i gechi, la normalita'... persino nell'ufficio dell'Ambasciatore, che ho conosciuto qualche ora fa e che mentre stavamo parlando mi fa: "To', guarda... un geco, proprio sopra l'armadio!"
E poi tanto altro... Le stiratrici e i parrucchieri per la strada... Le prime con un pezzo di marmo a fare da asse da stiro e un ferro di quelli vecchio stile col carbone dentro... I secondi, con una sediolina sotto il sole cocente... e lamette usate quattromila volte, a prova di tetano!
Avrei un migliaio di cose da raccontare ancora... Il primo impatto e' stato decisamente intenso, ma l'impatto c'e' ogni momento... ogni giorno...basta uscire dall'Ambasciata, piena di belle donnine, munite di tacco a spillo e vestitino firmato, profumate e truccate, che (poverette!) hanno fatto solo quattro passi per arrivare, dalla residenza agli uffici...